La stampa 3D permette la realizzazione di oggetti tridimensionali, partendo da un progetto cad sul computer.
Dobbiamo pensare a una stampante “normale” d’ufficio che stampa dei documenti o immagini depositando inchiostro, ecco la stampante 3D adotta un processo simile ma utilizza materiali, prevalentemente plastici.
La nascita e la diffusione della Stampa 3D
La stampa 3D nasce nel lontano 1986, con il rilascio di un brevetto di Chuck Hull, che inventa la stereolitografia.
A partire dal 2009, il brevetto sulla stampa 3D è scaduto. Da qui in avanti avremmo un’esplosione di stampanti 3D, economicamente accessibili alle piccole e medie imprese, nonché a noi makers.
Impieghi della Stampante 3D
L’impiego principale della stampante 3D è la Prototipazione Rapida, ovvero creare prototipi di nuovi progetti in maniera veloce ed economica.
I campi d’applicazione sono vari:
Prototipi e Componenti industriali.
Medicale, per stampare protesi per i pazienti.
Selfie, tramite scanner 3D, è possibile realizzare un modello su pc della propria persona e poi stamparlo.
Edilizio, per costruire intere case in un giorno
Oggetti di Design
Cibo
Veicoli
Organi e altri.
Materiali utilizzati nella stampa 3D
Nella stampa 3D, in particolare quella FDM (Filament deposition manufactoring), i materiali più utilizzati sono PLA e ABS per via della semplicità di stampa e per il costo contenuto.
Il PLA (Acido Polilattico) è biodegradabile, disponibile in diversi colori e ha un bassa temperatura di stampa 210°C. I lati negativi sono la poca resistenza meccanica alle sollecitazioni e il calore eccessivo.
L’ABS (Acrilonitrile butadiene stirene) non è biodegradabile, le colorazioni a disposizione sono molto meno e ha un’alta temperatura di stampa 250°C. I lati positivi sono, a differenza del PLA, un’alta resistenza meccanica che permette di creare oggetti meccanici.
Il PLA e ABS sono materiali “comuni” che normalmente si utilizzano per le varie stampe. Con il progresso della tecnologia si riesce a stampare anche i metalli tra cui l’Acciaio, tramite il processo di sinterizzazione o fusione. Per poi arrivare alle stampe realizzate con il Cioccolato, condivido qui il link del video.
Molti studenti di chimica i primi anni avranno pronunciato la stessa frase riportata nel titolo con una accezione diversa da quella che affronteremo in questa pagina.
Per chi non lo sapesse il pH è la misura dell’acidità di una soluzione, in particolare è l’opposto del logaritmo della concentrazione di ioni H+ (protoni) presenti in essa. Non scendiamo in ulteriori dettagli di teoria risparmiando ai lettori molte formule matematiche soporifere.
I chimici per misurare il pH ricorrono a delle sostanze chiamate indicatori, essi hanno la particolarità di cambiare il proprio colore a seconda della concentrazione di H+ che le circondano. Queste sostanze riescono a percepire i protoni in soluzione in quanto esse stesse sono degli acidi o delle basi, ma sono molto deboli. Gli indicatori usati nei laboratori chimici sono solitamente sostanze sintetiche come ad esempio la fenolftaleina e il metilarancio.
Esistono però anche molecole biologiche che si comportano da indicatori, alcune di esse forniscono il caratteristico colore ad alcuni ortaggi come il cavolo rosso. Tutti almeno una volta ci siamo resi conto che spremendo del succo di limone nel tè questo si schiariva, ciò avviene perché il tè si comporta da indicatore.
Si può perciò usare il colorante estratto dal cavolo rosso per ottenere un indicatore di pH casalingo con cui testare tutte le sostanze che ci circondano.
Esperimento
Tagliamo* il cavolo rosso in pezzi piccoli e facciamolo bollire in acqua per almeno 10 minuti. Con questa operazione estrarremo parte delle sostanze coloranti dal cavolo che andranno a solubilizzarsi in acqua. Passato il tempo necessario si lascia raffreddare il tutto e si procede allontanando il liquido dai pezzi di cavolo mediante una filtrazione, per questo passaggio si può usare un colino o uno scolapasta. Da questo momento il liquido potrà essere usato come indicatore di pH. In base alla quantità di acqua e di cavolo usati in partenza si può decidere se diluire o meno il liquido filtrato nell’ ultimo passaggio.
Per verificare il pH di una sostanza basterà porne una piccola quantità in un bicchiere ed aggiungere qualche goccia di indicatore. L’ intensità del colore dipenderà dalla quantità di indicatore miscelata con il campione analizzato. In questo caso il succo di cavolo assumerà un colore rosso a contatto con sostanze acide (pH basso) ed un colore blu-verde a contatto con sostanze basiche(pH alto).
Lo stesso esperimento può essere ripetuto con altri tipi di ortaggi colorati e i petali di geranio.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
La spettroscopia di emissione atomica è una tecnica analitica utilizzata per analisi di metalli in tracce, si basa sull’emissione di un fotone da parte di un atomo metallico eccitato termicamente. La lunghezza d’onda della radiazione emessa sarà univoca per ogni elemento(cioè ogni elemento avrà un proprio colore) e l’intensità della radiazione sarà proporzionale alla quantità di sostanza analizzata. I chimici usano uno strumento chiamato spettrometro ad emissione atomica.
Apparecchiatura
Lo spettrometro ad emissione atomica è composta da:
Nebulizzatore: formato da due aghi perpendicolari, uno collegato all’aria compressa e l’altro al campione. Il campione sarà aspirato secondo l’effetto Venturi e il getto d’aria compressa nebulizzerà finemente il liquido.
Atomizzatore: si può usare un becco Bunsen o fornello da campeggio ponendo all’entrata dell’aria l’uscita del nebulizzatore.
Spettrometro: scatola di legno con un reticolo di diffrazione a 30° rispetto al raggio d’entrata (settore di CD-ROM spellato) ed una fenditura mobile(ricavata da 2 lamette da barba e del cartone).
Rivelatore: cellulare in modalità manuale ISO800 e diaframma 1.
Esperimento
L’esperimento* consiste nella quantificazione del sodio nell’acqua di rubinetto.
Materiale:
Standard: soluzioni a diversa concentrazione di cloruro di sodio (sale da cucina) in acqua distillata
Acqua distillata
Aria compressa 0,2 bar
Cellulare
Computer
Si accende la fiamma a butano, si apre l’aria compressa e s’immerge il tubo del nebulizzatore nella soluzione da misurare. La fiamma cambierà colore indicando il tipo di metallo contenuto nel campione (nel nostro caso il sodio è arancione). Si regola la fenditura e si allinea lo spettrometro con la fiamma permettendo al cellulare di immortalare lo spettro.
Analisi dati
Una volta registrati gli spettri di tutti gli standard e del campione si analizzano le immagini mediante il software Tracker, ricavando i massimi di intensità per la specifica riga spettrale del sodio. Ottenuti i massimi d’intensità si interpolano con i valori di concentrazione degli standard e si usa la retta di regressione per determinare la concentrazione di sodio nel campione.
Per saperne di più e vedere qualche esperimento guardate il video e il canale YouTube.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
Oggi affrontiamo la sintesi del solfato di idrazonio un sale molto utilizzato nei laboratori di chimica organica e analitica.
Il solfato di idrazonio è un sale dell’idrazina, a temperatura ambiente è un solido bianco solubile in acqua.
Ha molti usi nei laboratori di chimica sia in ambito analitico che sintetico, è una fonte sicura di idrazina in quanto non volatile, meno suscettibile all’ossidazione e non infiammabile. In soluzione acquosa presenta un pH leggermente acido.
Il solfato di idrazonio è un forte riducente inoltre è nucleofilo perciò presenta le principali reazioni organiche come l’attacco al carbonile e la conseguente sintesi di azine e idrazoni.
Sintesi*
Si basa sul riarrangiamento di Hoffmann. La base deprotona l’ammide favorendo la forma tautomeria che attacca il cloro in soluzione. La molecola viene ulteriormente deprotonata e a seguito della perdita del cloruro si ottiene l’isocianato. L’isocianato con l’aggiunta di una molecola d’acqua si trasforma in acido carbammico (instabile) che si decompone nell’ammina e perde una molecola di anidride carbonica.
In una soluzione basica di ipoclorito di sodio al 5% e soda caustica 6% ad 8°C si aggiunge una soluzione di urea al 5% e 0,75g di gelatina. L’aggiunta deve essere rapida in quanto si evita la perdita dell’idrazina altamente volatile. La reazione produce una quantità di anidride carbonica che si manifesta con una effervescenza non immediata della soluzione.
Cessata l’effervescenza si riscalda la soluzione a 85°C per 5 minuti per spostare l’equilibrio verso i prodotti e successivamente si raffredda a 0°C (durante il riscaldamento il becher deve rimanere coperto per impedire la perdita di idrazina).
Si aggiunge infine l’ acido solforico 50% che neutralizza la soluzione e si tiene la temperatura compresa tra 15° e i 20°C. Alla fine dell’aggiunta di acido si ottiene un precipitato bianco di solfato di idrazonio e tracce di solfato di sodio che verranno filtrati ed essiccati. Per purificare il prodotto si può procedere con una ricristallizzazione.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
L’apparecchio per il punto di fusione è uno strumento tra i più economici in un laboratorio di chimica organica che permettono l’analisi di sostanze. Questo apparecchio permette di determinare la temperatura di fusione dei campioni presi in esame. Il tipo di analisi svolta è distruttivo perciò il campione non potrà essere recuperato, inoltre la sostanza incognita deve essere allo stato solido e privo di solventi o umidità. In un laboratorio casalingo non potrà certo mancare uno strumento di così facile costruzione in grado di restituire l’analisi dei prodotti sintetizzati.
Costruiamo il nostro strumento
Lo strumento è costruito interamente da materiale di riciclo ciò significa che ogni persona che volesse riprodurre* questo lavoro è libera di usare oggetti differenti da quelli descritti, sempre rispettando la compatibilità elettrica tra il vari componenti.
Lo strumento è composto da quattro componenti principali:
termometro digitale (TMAX almeno 200 °C)
saldatore elettrico per stagno (30 W)
varialuce SCR (2000 W)
blocco di alluminio portacampioni
Termometro digitale
Il termometro digitale utilizzato nel progetto ha una risoluzione di 0,1 °C e sfrutta una termocoppia di tipo K in grado di raggiungere temperature elevate senza alcun problema. Il diametro della sonda è 1.5 mm perciò è in grado di entrare perfettamente in un foro da 2 mm.
Blocco portacampioni
Il blocco è ricavato da un tondino di alluminio lavorato secondo il progetto posto a lato. I tre fori superiori da 2,5 mm serviranno per contenere i capillari portacampioni, il foro da 2 mm servirà per contenere la punta del termometro (diametro variabile a seconda del termometro), il foro da 15 mm permetterà la visione dei capillari durante l’esperimento. A seconda del diametro della punta del saldatore utilizzato si modificherà anche il diametro del foro laterale passante da 5 mm. Per la lavorazione del tondino saranno necessari: lima, trapano con punte per metallo, seghetto per metalli e lubrificante da taglio.
Saldatore elettrico
Il saldatore svolgerà il ruolo dell’elemento riscaldante trasmettendo il calore al blocco di alluminio. Si innesta la punta dentro al blocco portacampioni e si collega l’alimentazione in serie al varialuce SCR.
Varialuce SCR
Collegato in seria all’alimentazione dell’intero strumento il varialuce svolgerà il compito di moderatore di potenza regolando la velocità di riscaldamento e la temperatura massima raggiunta.
Si completa lo strumento inserendo tutti i componenti in un contenitore resistente alle alte temperature, con una lente di ingrandimento ed una lampadina che permetteranno una più semplice osservazione dei campioni. Si può aggiungere una ventola da computer che verrà accesa dopo la conclusione dell’esperimento permettendo un raffreddamento più rapido dell’apparecchio.
Eseguire le letture
Solitamente si riporta un range di temperatura di 1-2 °C per le sostanze pure, il punto di inizio della fusione corrisponde all’aggregazione delle prime goccioline di liquido sul fondo del capillare mentre la fine della fusione corrisponde alla completa scomparsa della fase solida. Campioni che presentano delle impurità avranno un range di fusione più ampio e una temperatura di fusione inferiore a quella teorica.
Per verificare se un campione incognito coincide con una sostanza standard si può procedere nel seguente modo:
miscelare in parti uguale la sostanza incognita con lo standard
riempire 2-3 mm un capillare con la miscela ottenuta
misurare il punto di fusione
Se il campione coincide con la sostanza standard si misurerà una temperatura di fusione uguale a quella teorica dello standard ed un range di temperatura ristretto, se le due sostanze sono differenti si misurerà una temperatura inferiore a quella teorica dello standard e un range di fusione largo.
Calibrazione dello strumento
Per calibrare lo strumento si impiegano i seguenti standard (opportunamente purificati) reperibili in casa:
Per correlare la temperatura letta con quella teorica si ricorre ad una retta di calibrazione con il metodo dei minimi quadrati (mediante Foglio di calcolo elettronico).
Con questo noi maker vi proponiamo il nostro apparecchio per il punto di fusione con materiale di riciclo.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
Tutti gli esperimenti dei makers di chimica elettronica e riciclo. Consigli utili e curiosità per una conoscenza trasversale del mondo.
“noi montiamo e smontiamo delle costruzioni molto piccole (…) siamo come dei ciechi con le dita sensibili (…)abbiamo inventato diversi trucchi intelligenti per riconoscerle senza vederle.“
Primo Levi, La chiave a stella (Acciughe I), Torino: Einaudi, 1978.