La fotografia analogica, un tuffo nel passato che affascina sempre più giovani curiosi di sperimentare.
In un mondo ormai digitalizzato con gli smartphones sempre a portata di mano, fotografare è diventata un’abitudine per tutti. La fotografia analogica sembra la scelta contro corrente degli hipster amanti del vintage, eppure sempre più giovani si avventurano in questo tipo di disciplina.
In questo articolo non staremo a disquisire i piaceri nascosti della fotografia analogica (sempre che ce ne siano davvero, bisognerebbe provare!) ma andremo dritti al sodo, per scoprire il piacere della chimica che sta alla base di ciò che per molti aveva del miracoloso: fissare sulla materia un’immagine.
Fotografia analogica, le basi chimiche!
*Click! Hai appena innescato un meccanismo sulla tua macchina fotografica che permetterà alla luce di penetrare all’interno e poter così impressionare la pellicola fotografica.
Strato superiore: un’emulsione di sali di alogenuro d’argento (alogeni possibili; cloro, bromo, iodio) sensibili all’esposizione luminosa e dispersi in una gelatina.
Strato inferiore: un supporto in cellulosa trasparente.
In questo esempio si parla di una pellicola bianco e nero, per le pellicole a colori sono necessari ulteriori strati per i pigmenti, rosso, verde e blu.
Arriva il fotone! La luce entra nella macchina fotografica e colpisce lo strato di alogenuro d’argento innescando una reazione a catena.
Prediamo l’esempio del bromuro d’argento AgBr:
Il bromo in forma anionica colpito dalla luce, cede un elettrone all’argento in forma cationica creando nel reticolo cristallino di AgBr alcuni atomi di Ag metallico.
Ag+ Br– → Ag+ + Bro + e–
Ag+ + e– → Ago
La struttura chimica ha ormai modificato i suoi equilibri, è stata creata un’immagine latente ancora invisibile. Dopo opportuno sviluppo chimico i punti esposti alla luce diventeranno più scuri.
– Lo sviluppo fotografico
La pellicola una volta esposta ed estratta dalla macchina fotografica (completamente al buio) viene immersa in soluzione chimica riducente. Durante la reazione si produce ulteriore argento metallico con una velocità maggiore nelle aree in cui sono già presenti atomi di metallo. Le aree con più argento metallico saranno visibilmente più scure.
Diventa visibile un’immagine! I cristalli non colpiti dalla luce non subiscono nessuna trasformazione, e restano sensibili alla luce. Andranno perciò eliminati successivamente nel processo finale di fissaggio.
Esistono altri spettri elettromagnetici oltre a quelli visibili, scopri di più in questo articolo:Fotografia ad infrarossi.
– L’arresto
La pellicola (sempre al buio) viene trattata con una soluzione acida che arresta il processo di sviluppo per evitare un eccessivo annerimento.
– Il fissaggio
La pellicola viene trattata con un ultimo reagente che permette di dissolvere l’alogenuro d’argento non reagito.
Il sale d’argento non è solubile in acqua viene così portato in soluzione con un bagno adatto come ad esempio il tiosolfato di sodio.
Una volta effettuati tutti questi processi con i giusti tempi di reazione e aver ben lavato la pellicola dalle sostanze chimiche avremo un negativo stabile che potrà essere esposto alla luce e magari successivamente sviluppato in stampa.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
Si può riaccendere una candela a distanza? Sembra una domanda apparentemente sciocca ma che in realtà nasconde una serie di principi fisici e chimici che vi lasceranno a bocca aperta.
Combustione*
Le candele sono una manifestazione della combustione, una reazione chimica di ossidoriduzione tra due componenti: combustibile e comburente. La reazione di combustione è esotermica cioè produce calore, oltre a questo però si produce luce e prodotti di scarto. La reazione di combustione non parte in maniera spontanea perciò necessita di un innesco cioè una fonte di energia. Una volta innescata, questa reazione spontanea procede fino ad esaurire uno dei reagenti (combustibile o comburente).
La combustione è una reazione che ossida il combustibile e riduce il comburente. Se prendiamo come esempio la combustione degli idrocarburi (combustibile) in ossigeno (comburente) otterremo come prodotti l’anidride carbonica (CO2 ) in cui il carbonio è ossidato e l’acqua(H2O) in cui l’ossigeno è ridotto. Una rappresentazione schematica della combustione è il triangolo del fuoco.
Come funzionano le candele
Le candele sono sorgenti luminose formate da un filamento centrale di cotone intrecciato detto stoppino immerso in un combustibile che può essere della cera. La cera dal punto di vista chimico è un insieme di esteri, acidi saturi e alcoli con catene da 14 a 30 carboni. Sono sostanze che sono malleabili a temperatura ambiente, si sciolgono a 45°C in fluidi a bassa viscosità. Le cere possono essere naturali o artificiali ma rimangono comunque sostanze idrofobe che formano strati idrorepellenti.
Lo stoppino ricoperto di cera viene incendiato, la cera evapora dallo stoppino e insieme all’ossigeno dell’aria alimenta la fiamma producendo luce e calore. Il calore della fiamma scioglie l’estremità superiore della candela che per capillarità mantiene lo stoppino imbibito di combustibile. La cera fusa viene trattenuta sulla parte superiore della candela da uno “scodellino” di cera solida raffreddata dalla corrente ascensionale di aria aspirata dalla fiamma.
Composizione dei fumi delle candele
La composizione dei fumi di una candela cambia con il passare del tempo. Teoricamente una combustione ideale produce acqua e anidride carbonica ma in realtà la reazione di combustione non ossida completamente il combustibile e crea dei sottoprodotti con stato di ossidazione meno elevato.
La combustione continua di una candela forma maggiormente anidride carbonica, vapore acqueo e particelle di sali inorganici. Lo stoppino disperde particelle di sali inorganici molto fini perché è ricoperto di ritardanti di fiamma che servono a far durare di più la candela.
Durante la fase di spegnimento della candela si liberano particelle grandi di materia organica non bruciata e fuliggine. Questo fumo costituisce una miscela potenzialmente infiammabile che sfruttiamo per riaccendere una candela a distanza.
Trasporto delle particelle nel fumo
Tutti i prodotti della combustione della candela sono trasportati verso l’alto dal meccanismo della convezione. La fiamma crea una corrente di aria ascensionale che parte dalla base della candela e si alza verso l’alto. Questa corrente di aria calda si alza perché ha una densità minore dell’aria circostante. Spegnendo una candela tutte le particelle e la cera vaporizzata sono trasportati dalla corrente di aria calda formando una sorta di scia infiammabile. Se con un innesco (una fiamma libera di un accendino) incendiamo l’estremità di questa scia, la fiamma incendia l’intera striscia di fumo fino ad arrivare allo stoppino.
Esperimento
Accendiamo una candela e svuotiamo la riserva di cera liquida che si forma alla base dello stoppino. Spegniamo la candela con un soffio deciso dall’alto verso il basso. Avviciniamo una fiamma alla scia di fumo che si sarà formata a pochi centimetri dallo stoppino, se il fumo è abbastanza denso e carico di sostanze infiammabili la fiamma riaccenderà la candela ripercorrendo la striscia di fumo.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
La tensione superficiale è la tensione meccanica di coesione tra le molecole sulle superfici esterne dei fluidi. Le molecole interne alla massa del fluido hanno una risultante delle forze di attrazione circostanti nulla mentre quelle sulla superficie sono attratte verso il centro della massa. La superficie dei fluidi tende a contrarsi e perciò a ridurre al minimo lo spazio occupato dalle molecole superficiali. La tensione superficiale inoltre determina una forza tangenziale alla superficie che la tende come una membrana elastica.
Questa forza è responsabile sia del fenomeno della capillarità sia della forma delle bolle di sapone.
Tensiometro casalingo*
La tensione superficiale si può misurare in casa con un tensiometro casalingo
1 cannuccia
2 spilli
2 graffette
1 bicchiere
filo di cotone
nastro adesivo
foglietto di carta
Costruiamo una bilancia a bracci uguali trafiggendo al centro della cannuccia uno spillo. Usiamo un bicchiere capovolto come piedistallo per fissare verticalmente due graffette con dello scotch. Poniamo la cannuccia e lo spillo in equilibrio sulle graffette e leghiamo alle due estremità della cannuccia dei fili di cotone. Ad una estremità legheremo uno spillo mentre all’altra un cestino di carta per reggere i pesi. Lo spillo legato nel suo centro dovrà rimanere completamente sospeso ed orizzontale. Il cestino è ricavato ripiegando in quattro un foglietto di carta. Bilanciamo il tutto attaccando dello scotch alle due estremità della cannuccia. Il braccio della bilancia dovrà essere orizzontale lasciando sia lo spillo che il cestino sospesi da terra.
Misurazione
La tensione superficiale dei fluidi può essere definita come la forza che agisce su un taglio sulla superficie del fluido. La tensione superficiale nel S.I. si misura in N/m e si esprime con la lettera gamma. Poniamo un recipiente pieno del fluido da misurare sotto l’ago del tensiometro, caliamo l’ago sulla superficie del fluido e aspettiamo che la cannuccia sia stabile. Aggiungiamo gradualmente e con delicatezza dei pesetti (chicchi di riso o granelli di sabbia) sul cestino della bilancia fino a che l’ago non si staccherà dalla superficie del fluido. Noteremo che il fluido tenderà a trattenere lo spillo sulla superficie fino a che la massa dei pesi nel cestino non supererà la tensione superficiale. Pesiamo a parte con una bilancia digitale da cucina i pesi aggiunti e ricaviamo la tensione superficiale del fluido con la seguente formula:
γ tensione superficiale (N/m) m massa dei contrappesi (Kg) g accelerazione di gravità (m/s*s) L lunghezza dello spillo sulla superficie del fluido (m)
Direzione della tensione sulle superfici
Si può verificare che la tensione superficiale si distribuisce in modo uniforme in tutte le direzioni di una superficie di un fluido.
acqua e sapone
cannucce o fil di ferro
filo di cotone fine
stuzzicadenti
pinzette (opzionali)
Costruiamo con delle cannucce o del fil di ferro una cornice chiusa (la forma è indifferente) ed immergiamola in acqua e sapone. Tolta la cornice dalla soluzione saponosa si formerà una membrana molto sottile ed elastica al suo interno. Leghiamo il filo di cotone per formare un piccolo anello che andrà bagnato nella soluzione saponata. Con l’aiuto di un paio di pinzette (bagnate) appoggiamo l’anello di cotone sulla membrana di sapone all’interno della cornice. L’anello rimarrà sospeso e potrà muoversi liberamente. Con l’aiuto di uno stuzzicadenti buchiamo la membrana di sapone all’interno dell’anello di cotone. Si noterà che l’anello verrà tirato immediatamente in tutte le direzioni formando un cerchio perfetto. Questo conferma che la tensione superficiale dei fluidi agisce tangenzialmente alla membrana di sapone e in modo uguale in tutte le direzioni.
Effetto Marangoni
È il trasferimento di materia lungo una superficie dovuto ad un gradiente di tensione superficiale. Il fenomeno fu osservato per la prima volta negli “archetti del vino” da James Thomson nel 1855. L’effetto fu studiato da Carlo Marangoni che ne pubblicò i risultati nel 1865. Il fluido con più alta tensione superficiale attrae a se con più forza il fluido circostante perciò in regioni con bassa tensione superficiale il fluido scorre via.
Inchiostro magico
latte o acqua
stuzzicadenti
sapone
piatto
colorante alimentare o pepe in polvere
Versiamo del latte in un piatto e facciamo cadere qualche goccia di colorante al centro evitando che si propaghi per tutta la superficie. Intingiamola punta dello stuzzicadenti nel sapone e successivamente pizzichiamo con tale punta il centro della macchia di colorante sulla superficie del latte. Si nota una rapida propagazione del colorante dal centro verso l’esterno. Il sapone è una sostanza (tensioattivo) che diminuisce la tensione superficiale dei fluidi, nel nostro caso lo usiamo per creare una differenza (gradiente) di tensione sulla superficie del latte. Dato che la tensione superficiale al centro del latte è inferiore a quella circostante la superficie viene allungata verso l’esterno evidenziata da un chiaro spostamento del colorante.
Barchetta a propulsione
Per osservare in modo più divertente l’effetto Marangoni e la terza legge di Newton si può costruire una barchetta a reazione. Intagliamo con un paio di forbici un piccolo pezzo di carta a forma di “casa con il tetto a V”.
Tagliamo un canale che parte dal centro e finisce nella parte posteriore della barca largo qualche millimetro. Poniamo il foglio di carta opportunamente tagliato sul pelo dell’acqua e intingiamo uno stuzzicadenti con la punta sporca di sapone nell’acqua all’interno del canale al centro della barchetta. Il pezzo di carta subirà una propulsione in avanti molto rapida.
Bolle di sapone e legge di Laplace
La bolla di sapone è uno strato sottile di acqua e sapone ma racchiude in se una miriade di misteri matematici, fisici e chimici. Le bolle di sapone sono degli esempi concreti di complessi problemi matematici di minimizzazione di superficie in un dato volume.
I film di sapone rappresentano superfici minime che sono state sfruttate da matematici, ingegneri e architetti. La legge di Laplace correla la pressione interna di una bolla con il suo raggio è può essere verificata con un semplice esperimento
ΔP differenza di pressione esterna/interna (Pa) γ tensione superficiale (N/m) R raggio della bolla (m)
2 cannucce
nastro adesivo
acqua e sapone
forbici
Pratichiamo un foro non passante sul centro di una cannuccia con le forbici ed inseriamo una estremità della seconda cannuccia formando un raccordo a T. Sigilliamo tutte le giunzioni con del nastro adesivo per evitare perdite. Immergiamo e rialziamo le due estremità laterali del giunto appena costruito nella soluzione saponosa e soffiamo nella cannuccia centrale. Per avere due bolle di grandezza differente si strozza momentaneamente una delle due estremità laterali mentre si insuffla. Formeremo due bolle di sapone di grandezza differente attaccate alle due estremità della T e chiuderemo con il dito l’estremità superiore dove abbiamo soffiato.
Risultato
Le due bolle saranno a contatto come due vasi comunicanti perciò ci aspetteremo che l’aria passi da quella più grande alla più piccola fino ad equilibrare il sistema ,formando due bolle della stessa dimensione. In realtà la bolla più piccola si rimpicciolirà ancora di più gonfiando quella più grande. Questo fenomeno avviene perché l’aria tende a spostarsi verso le regioni a pressione più bassa perciò deduciamo che nella bolla più grande ci sia una pressione minore rispetto a quella più piccola. Questo esperimento conferma la Legge di Laplace che afferma che la pressione interna di una bolla è inversamente proporzionale al suo raggio.
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La spettroscopia infrarossa è una tecnica di analisi che si basa sull’interazione tra la luce e la materia. Questa tecnica sfrutta una regione dello spettro elettromagnetico compresa tra 2,5 µm e 25 µm degli infrarossi. La spettroscopia studia l’assorbimento di energia radiativa da parte delle molecole che raggiungono uno stato eccitato.
Modi vibrazionali
L’eccitazione (di spin, elettronica, vibrazionale, ecc…) dipende dalla quantità di energia quindi anche dal tipo di radiazione. In particolare l’IR è associata ad una eccitazione vibro-rotazionale delle molecole. I due principali moti vibrazionali sono lo stretching e il bending. Lo stretching è la variazione della lunghezza dei legami tra gli atomi mentre il bending è la variazione dell’angolo di legame tra gli atomi. L’energia dei moti di stretching è più alta di quella dei bending.
L’assorbimento di energia molecolare è quantizzato perciò ci aspetteremo uno spettro con delle righe tuttavia la radiazione infrarossa eccita sia livelli vibrazionali che rotazionali (a più bassa energia) perciò lo spettro presenta delle bande.
Interazione luce-materia e variazione del momento di dipolo
Il campo elettrico alternante prodotto dalla variazione della carica elettrica molecolare, accoppia la vibrazione della molecola al campo elettrico oscillante della radiazione. Sono visibili in uno spettro IR solo vibrazioni che cambiano il momento di dipolo netto della molecola.
In spettroscopia IR si usa il numero d’onda piuttosto che la frequenza perciò bisogna saper convertire le diverse unità di misura della frequenza e dell’energia.
E energia [J] h cost. Planch [J/m] c velocità luce [m/s] T periodo [s] λ lunghezza d’onda [m] v frequenza [Hz] ˜ν numero d’onda [cm-1 ]
Energia dei livelli vibrazionali
I livelli energetici si calcolano in modo approssimato secondo il modello dell’oscillatore armonico e della forza di Hooke.
Approssimiamo gli atomi a delle sfere dotate di massa e il legame chimico come una molla perciò la vibrazione legata alla molecola è
v è la frequenza fondamentale di risonanza (numero d’onda) µ è la massa ridotta che dipende dalla massa degli atomi k è la costante di forza della molla che dipende dal tipo di legame c è la velocità della luce
Spettroscopia Raman
La spettroscopia infrarossa non percepisce i moti vibrazionali simmetrici perciò si deve ricorrere ad un’altra tipologia di analisi spettroscopica. Questa tecnica è la spettroscopia Raman, sfrutta la luce diffusa da un campione sottoposto ad un fascio laser incidente.
Strumento*
Lo spettrofotometro ad infrarossi è costituito da vari componenti che dividiamo in blocchi concettuali e rappresentiamo in una filiera strumentale. Esistono due tipi di spettrofotometri: dispersione e trasformata di Fourier. Oggigiorno il modello più utilizzato è a trasformata di Fourier (FTIR) in quanto riesce a garantire maggiori prestazioni: risoluzione costante lungo tutto lo spettro, tempi di analisi brevi e alto rapporto segnale/rumore.
La filiera strumentale di uno FTIR è costituita da:
sorgente
interferometro
cella porta campione
rivelatore
computer
Sorgente
Le sorgenti per spettrofotometri IR sono molteplici e si scelgono valutando lo spettro di emissione, la robustezza operativa e il costo. Le principali sono lampade con filamenti di: carburo di silicio, ossidi fusi, nichel-cromo e tungsteno.
Interferometro
L’interferometro di Michelson è la configurazione di interferometro più utilizzata negli FTIR. Questo apparecchio è costituito da uno specchio semitrasparente che divide un fascio luminoso proveniente dalla sorgente in due fasci secondari di uguale intensità. I due fasci secondari vengono riflessi da due specchi e fatti collimare su uno stesso punto. Uno dei due specchi è mobile e permette di variare la lunghezza del cammino ottico di uno dei due raggi secondari. L’interferometro permette di convertire lo spettro di emissione della sorgente in un interferogramma perciò non c’è più necessità di dividere il fascio luminoso nelle sue componenti monocromatiche come avviene in uno spettrofotometro a dispersione. Per monitorare lo spostamento dello specchio mobile si contano le frange di interferenza di un fascio laser He-Ne fatto entrare nell’interferometro parallelamente al fascio della sorgente.
Cella porta campione
Esistono diversi modi per introdurre un campione negli spettrofotometri IR che dipendono dallo stato fisico del campione, dalla composizione chimica e dal costo.
Campione solido
pastiglia: si mescolano con un mostaio di agata 1mg di campione e 300mg di KBr e si forma una pastiglia con una pasticcatrice a 10Ton per 2 min. ATR: è una tecnica che sfrutta un particolare inserto che permette di premere il campione solido contro un cristallo tramite un morsetto. Il raggio IR rimbalza ripetutamente tra il cristallo e la superficie del campione per poi rientrare nello strumento. nujol: si mescola il campione solido con una paraffina ad alto peso molecolare(nujol) e si pone il miscuglio tra due pastiglie di NaCl o AgBr puri (come un sandwich).
Campione liquido
pastiglie: si pone qualche goccia di campione tra due pastiglie di NaCl o AgBr puri (come un sandwich) ATR: si pone qualche goccia di campione sul cristallo e si chiude senza serrare il morsetto
Campione gassoso
cella: si spurga una cella per campioni gassosi con un flusso di gas inerte e tramite un sistema pneumatico si introduce il campione gassoso avvinando la cella.
Rivelatore
Esistono vari tipi di rivelatori per spettrofotometri IR, i principali sono: bolometri, termocoppie, cristalli piroelettrici, cella di Golay e semiconduttori. Ognuno di essi viene valutato secondo i tempi di risposta, limite di rivelabilità, costo e molto altro.
Computer
Il ruolo del computer oltre che monitorare, gestire l’ottica e collezionare i segnali dal rivelatore è quello di convertire l’interferogramma in uno spettro attraverso la trasformata di Fourier. Esistono algoritmi per svolgere questa operazione complessa che hanno permesso in passato di ottenere un risultato in tempi più rapidi come l’algoritmo di Cooley e Tukey. Il computer restituisce lo spettro sulle periferiche di uscita (monitor e stampante) e può contenere un database con una serie di molecole per eseguire il riconoscimento automatico di molecole comuni, ciò non toglie però che l’operatore deve saper eseguire l’analisi di uno spettro di una sostanza incognita che potrebbe non essere contenuta all’interno della memoria del computer.
Spettri
Gli spettri sono grafici che mostrano la % trasmittanza del campione in funzione della frequenza della radiazione espressa in cm-1 Solitamente gli spettri IR hanno un intervallo di frequenza sull’asse X compreso tra 4000 e 400 cm-1 Per ogni tipologia di gruppo funzionale presente nelle molecole esiste una serie di bande caratteristiche utili ad identificare il campione incognito.
La regione dello spettro compresa tra 400 e 1500 cm-1 è detta delle impronte digitali ed è caratteristica dello scheletro carbonioso di ogni singola molecola. Non esistono molecole diverse tra loro che possiedono la stessa regione delle impronte digitali.
Di seguito sono riportate le principali famiglie di composti organici con le loro bande caratteristiche.
alcani
alcheni
alchini
nitrili
alcoli
acidi carbossilici
aldeidi
chetoni
esteri
eteri
ammine
ammidi
composti aromatici
Molecole complesse saranno costituite dall’insieme delle varie bande tipiche di ogni gruppo funzionale precedentemente mostrate.
Gli intervalli di frequenza delle bande dei vari gruppi funzionali possono variare perché dipendono da molti fattori come la concentrazione del campione, la presenza di isotopi, ecc… La spettroscopia IR non è sufficiente da sola a identificare la struttura di una molecola incognita perciò deve essere accompagnata da altre tecniche analitiche (HNMR,CNMR e MS), tuttavia è la più veloce per identificare i vari gruppi funzionali di un composto.
spettri scaricati da: SDBSWeb : https://sdbs.db.aist.go.jp (National Institute of Advanced Industrial Science and Technology,25/12/2020)
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
Sono un perito chimico e studente di chimica all'università di Bologna. Mi occupo di chimica, elettronica e riciclo. Faccio parte dei Makers dal 2015 da quando abbiamo fondato il gruppo.
Per la realizzazione dello stampo in plastica del negativo delle luci, io ed Sm Studio, ci siamo rivolti alla ditta FLOW easy thermoforming.
Forma Luce Subacquea
Stampo in plastica realizzato da FLOW easy thermoforming
Realizzazione della Luce subacquea
Preparazione del LED:
Saldare due fili sulle piazzole del led. In particolare si evidenzia il polo POSITIVO (blue in foto) e NEGATIVO (marrone in foto).
Ritagliare una piastra sottile 2 mm di acciaio, dove fissare il led.
Ricoprire la superficie del led a contatto con la piastra con della pasta termica, per favorire la conduzione di calore dal led alla piastra.
Fase 1
Fase 2
Fase 3
Preparazione della Resina Epossidica per un led:
*Seguire attentamente le istruzioni riportate nel retro della confezione.
Pesare 120 gr del componente A.
Pesare 72 gr del componente B.
Mescolare il tutto in un contenitore pulito, prestando attenzione a evitare di inglobare le bolle d’aria.
Colatura della Resina nello stampo ed inserimento del led:
Spruzzare dell’olio di vasellina sullo stampo.
Fare una prima colata nello stampo.
Inserire il led nello stampo.
Finire il tutto ricoprendo con la resina rimanente il led.
Fine del processo
Collegamento elettrico:
Per il controllo del led è necessario uno Step-up Boost Converter che permette di “alzare” la tensione d’ingresso da 12V a 36V, diminuendo così la corrente di controllo.
Di seguito è riportato lo schema elettrico di collegamento. Tramite i due Potenziometri blu, posti nella parte destra del circuito, è possibile regolare la tensione e corrente d’uscita.
Risultato finale:
Dopo aver aspettato circa due giorni per far solidificare la resina, i led sono pronti per essere montati sulla barca nella parte immersa.
In bianco evidenziati i due led
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La curcumina è un pigmento fluorescente contenuto nella curcuma, ha molti utilizzi in chimica organica, inorganica e analitica.
La pianta Curcuma Longa può contenere dal 2-9% di curcuminoidi che includono: la curcumina, demetossicurcumina, bis-demetossicurcumina e curcumina ciclica. La prima estrazione della molecola risale al 1815 mentre la sintesi viene raggiunta 100 anni dopo dal chimico Wiktor Lampe.
Struttura
La curcumina è una molecola simmetrica che presenta 2 gruppi funzionali principali: dichetone α-β insaturo e due o-metossi fenoli. Nello stato cristallino la molecola assume una configurazione cis-enolica, mentre in soluzione prevale la configurazione trans.
Estrazione*
La curcumina si estrae con un estrattore Soxhlet ed un solvente polare : acetone, etanolo, ecc…
L’estrattore Soxhlet è un estrattore discontinuo in vetro per estrazioni solido-liquido perciò è uno strumento molto usato ed utile nei laboratori di chimica.
Funziona in modo autonomo attraverso dei cicli di riempimento e svuotamento da parte di un sifone laterale tuttavia è sempre bene accertarsi che il solvente non fugga dal condensatore.
Una volta conclusa l’estrazione si procede allontanando il solvente per evaporazione.
Reattività e proprietà chimiche
È una molecola poco solubile in acqua e cambia colore da giallo a rosso se il pH aumenta. Assume inoltre un colore rosso intenso se addizionata con acido solforico concentrato.
Questa molecola può partecipare a reazioni di ossidazione, addizione 1-4 di Michael ed idrolisi.
La curcumina è fluorescente
La curcumina è una molecola fluorescente che assorbe sia nel visibile che nell’UV perciò molte tecniche di analisi spettrofotometriche sfruttano questa molecola per la determinazione di elementi come il Boro. La tecnica di analisi più sensibile è la spettroscopia di fluorescenza (400-450 nm) che arriva fino ad 1ng/mL. È un forte legante bidentato che complessa metalli con stechiometria 2:1, 3:1 (legante:metallo) formando complessi planari quadrati e ottaedrici perciò è studiata anche nella chimica dei complessi.
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Il test del biureto serve per la determinazione delle proteine. Ma a cosa ci serve identificare le proteine? Lo studio delle proteine mutate nell’organismo può portarci ad una diagnosi precoce delle patologie tumorali.
Le proteine sono macromolecole formate da amminoacidi, sono di importanza cruciale per il nostro corpo in quanto svolgono molte funzioni:
strutturale
catalitico / enzimatico
di neurotrasmettitori
per la risposta immunitaria
Cos’è il biureto?
Il biureto è un composto chimico risultante dalla condensazione di due molecole di urea. È un solido bianco, solubile in acqua calda, che si ottiene riscaldando l’urea a 180 °C. Durante la sintesi si libera ammoniaca sotto forma di gas.
Sintesi del biureto*
Si pone una punta di spatola di urea in una provetta e si riscalda su un bunsen. Per controllare la conversione della reazione si pone una cartina tornasole inumidita con acqua sull’imboccatura della provetta che assumerà una colorazione blu a contatto con l’ammoniaca prodotta.
Reattivo per il test
Il reattivo per il test del biureto è composto da una soluzione basica di ioni rame Cu2+. Per stabilizzare il reattivo impedendo la precipitazione di composti di rame si può aggiungere del tartato di sodio. In presenza di peptidi si osserva una colorazione viola dovuta alla formazione di un complesso di rame.
Eseguiamo il test del biureto
Si aggiunge 1mL di NaOH 0,2M e qualche goccia di CuSO4 1% alla provetta contenente il campione da analizzare, se la soluzione si colorerà di viola il test sarà positivo. Sia per il collagene (foglio di colla di pesce) che per il biureto il test sarà positivo indicando la presenza di gruppi peptidici mentre in una provetta contenente zucchero il test sarà negativo.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
“La materia ruota la luce” può sembrare l’inizio di una lezione di fisica ma in realtà parliamo di chimica.
Alcuni tipi di sostanze sono in grado di ruotare il piano della luce polarizzata, in chimica sono definite sostanze otticamente attive. Le sostanze otticamente attive hanno le stesse proprietà fisiche (ebollizione, fusione, ecc…) ma differiscono nelle proprietà direzionali (rotazione della luce polarizzata, ecc…).
Dal punto di vista chimico le molecole delle sostanze otticamente attive non presentano né un centro né un piano di simmetria e le loro immagini speculari non sono sovrapponibili. Solitamente le molecole di questo tipo hanno un atomo legato a sostituenti diversi.
Un esempio di “oggetti” speculari non sovrapponibili sono le mani (dal greco χείρ, chìr) per questo le molecole otticamente attive sono dette chirali. Il comportamento delle molecole chirali si distingue solo in presenza di altre entità chirali. Questo è importante perché il mondo naturale è ricco di molecole chirali (enzimi, recettori, …) noi compresi!
Storia
Nel ‘800 Jean Baptiste Biot osserva che il piano della luce polarizzata ruota quando attraversa una soluzione di zucchero o di acido tartarico. Queste due sostanze vengono cristallizzate dalla produzione del vino.
Nel 1848 Louis Pasteurosserva che il sodio ammonio tartrato forma due differenti tipi di cristallo, immagini speculari l’uno dell’altro. Li separa manualmente ed osserva una rotazione opposta della luce polarizzata.
In un bicchiere di acqua sciogliamo dello zucchero fino a formare una soluzione satura. La soluzione concentrata va diluita di metà perciò poniamo metà di questa soluzione in un nuovo bicchiere e aggiungiamo un egual volume di acqua. Ripetiamo il processo di diluizione delle soluzioni per altre 2 volte. Le 4 soluzioni di acqua e zucchero a concentrazione decrescente verranno misurate con il polarimetro e si annoterà su un grafico l’angolo misurato vs la concentrazione della soluzione.
Osservazioni
Dal grafico si osserva che l’angolo di rotazione della luce polarizzata delle 4 soluzioni preparate cambia. In particolare aumenta all’aumentare della concentrazione.
Applicazioni
Noi chimici sfruttiamo questa tecnica per misurare la concentrazione di molecole chirali nei campioni alimentari (vino, succhi di frutta, bibite, ecc…). Esistono in commercio dei polarimetri portatili chiamati saccarimetri che forniscono direttamente la concentrazione di zucchero negli alimenti.
Molte sostanze chirali normalmente trasparenti se osservate al polarimetro presentano dei colori particolari, che conferiscono all’oggetto un particolare effetto caleidoscopico (nastro adesivo, urea, minerali, ecc…).
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
Sono un perito chimico e studente di chimica all'università di Bologna. Mi occupo di chimica, elettronica e riciclo. Faccio parte dei Makers dal 2015 da quando abbiamo fondato il gruppo.
Se qualcuno ci dice alcol non possiamo non pensare all’alcol rosa che si trova al supermercato. Ma qual’è il vero colore dell’alcol? Affronteremo insieme la decolorazione dell’alcol etilico denaturato.
L’alcol etilico o etanolo è una molecola organica composta da 2 carboni, 1 ossigeno e 6 idrogeni ( C2H6O ).
Si ricava dalla fermentazione alcolica da parte dei lieviti di materia organica contenente zuccheri.
È una sostanza volatile, infiammabile ed incolore che brucia con una fiamma azzurra*.
In commercio è reperibile sia come alcol per uso alimentare che come alcol denaturato di colore rosa.
Decolorazione dell’alcol rosa
Una bottiglia di alcol denaturato contiene i seguenti composti:
alcol
acqua
metil-etilchetone (denaturante)
tiofene (maleodorante)
reactive red (colorante)
benzoato di denatonio (inasprente)
Per allontanare il colorante che dona il tipico colore rosa si ricorre alla tecnica dell’adsorbimento. Si disperde nell’alcol un solido inerte (che non reagisce) che possiede una grande superficie, il più comune è la polvere di carbone attivo. Le particelle di carbone attivo presentano un enorme quantità di insenature e pori che intrappolano le molecole molto grandi di colorante e lasciano indisturbate le molecole più piccole come l’alcol, l’acqua ed il tiofene. Una volta filtrato il liquido si presenterà incolore mentre la polvere di carbone conterrà il colorante. L’alcol decolorato può essere usato per molti esperimenti di chimica come la cromatografia.
La decolorazione dell’alcol etilico secondo i makers.
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