Storia della meccanica quantistica

Storia della meccanica quantistica

Ripercorriamo la storia della meccanica quantistica affrontando gli esperimenti, i paradossi e le idee che hanno cambiato il mondo della fisica.

Dal corpo nero al principio di indeterminazione

Cos’è la fisica quantistica? Perché ci appare così oscura? Perché è nata?
Tutto ebbe inizio negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando i fisici classici iniziarono ad osservare il mondo microscopico.
Inizialmente tentarono di utilizzare la fisica classica per spiegare i comportamenti delle particelle a livello atomico e subatomico, ma con scarsi risultati.
Essi, infatti si resero conto che, nonostante la fisica newtoniana fosse adatta a descrivere i fenomeni a livello macroscopico, la sua applicazione nel microcosmo causava alcune perplessità.

Lo spettro del corpo nero

Il primo limite dell’approccio classico si deve ai due fisici Rayleigh e Jeans, i quali tentarono un’interpretazione classica dello spettro di emissione del corpo nero.
Quest’ultimo è un oggetto ideale di riferimento in grado di assorbire tutta la radiazione incidente indipendentemente dalla lunghezza d’onda e dalla direzione. Nessuna superficie può emettere più di un corpo nero a temperatura e lunghezza d’onda fissata ed è un emettitore diffuso.

spettro del corpo nero

Negli ultimi anni dell’Ottocento, i due scienziati notarono che la relazione trovata rispecchiava le osservazioni sperimentali* a basse frequenze ma restituiva un risultato paradossale per alte frequenze detto catastrofe ultravioletta ( secondo le leggi della fisica classica la radiazione emessa sarebbe dovuta aumentare con la frequenza ).


A risolvere tale problema fu Planck, il quale teorizzò che gli oscillatori ideali di cui erano composte le pareti del corpo nero non potessero emettere energia in maniera continua, come teorizzato dalla fisica newtoniana.
Egli propose un modello secondo cui l’energia poteva essere emessa solamente in maniera discreta tramite pacchetti “QUANTI” di energia, secondo la legge:

formula di Planck
ritratto Max Planck

Nonostante Max Planck introdusse il concetto della quantizzazione del mondo microscopico, giustificò la sua scelta come un puro espediente per “far tornare i conti” privo di alcun significato fisico

“È solo un artificio matematico”

M.Planck

Effetto fotoelettrico

Ulteriori discrepanze si notarono nell’effetto fotoelettrico.
Esso consiste nella sollecitazione di una lastra metallica mediante luce a una determinata frequenza.

Sperimentalmente si osservò che l’aumento della frequenza aumentava l’energia cinetica degli elettroni espulsi dalla superficie del metallo e l’intensità luminosa ne aumentava solo il numero.

ritratto Albert Einstein

Dunque Einstein, in seguito allo studio di tale fenomeno ipotizzò la quantizzazione della radiazione elettromagnetica!
Secondo tale ipotesi la luce è costituita da particelle dette FOTONI, aventi energia direttamente proporzionale alla frequenza secondo la legge teorizzata da Planck. Per la prima volta l’approccio quantistico si dimostrò essere un valido strumento fisico e non solo un espediente matematico per risolvere i problemi del corpo nero.

Modello atomico di Bohr

L’approccio discreto venne utilizzato anche dallo scienziato Niels Bohr per risolvere il paradosso del modello atomico di Rutherford per il quale l’elettrone collasserebbe sul nucleo centrale di carica opposta perdendo energia attirato per la forza di Coulomb.

ritratto Niels Bohr

Bohr impose la quantizzazione del momento angolare dell’elettrone orbitante attorno al nucleo. Secondo questo nuovo modello atomico gli elettroni giacciono attorno al nucleo solo su precise orbite e per muoversi da una all’altra devono assorbire o emettere una quantità di energia discreta. Le formule ricavate dallo scienziato danese rispecchiavano le formule empiriche di Balmer e Rydberg e spiegavano le osservazioni delle linee di emissione e assorbimento negli spettri.

Il modello di Bohr venne ulteriormente verificato dall’esperimento di Frank ed Hertz che riuscirono a misurare lo scambio energetico tra un fascio di elettroni e atomi di mercurio. Dalle misure eseguite osservarono un preciso valore di energia ceduta dal fascio di elettroni agli atomi di mercurio che corrispondeva ad una precisa transizione tra due orbite atomiche.

Scattering Compton

Il comportamento discreto delle radiazioni elettromagnetiche venne osservato da Arthur Compton attraverso un fenomeno di diffusione (scatterning Compton). Lo scienziato bombardò un bersaglio di grafite con un fascio di raggi X e si rese conto che venivano emessi una certa quantità di raggi X a frequenza minore. La frequenza dei raggi diffusi dal bersaglio era indipendente dalla frequenza della radiazione incidente e questo poteva essere dimostrato solo con un approccio quantistico. Compton immaginò la radiazione formata da particelle che urtando gli elettroni della grafite cedevano parte della propria energia. Dall’interpretazione di questo esperimento nacque il dibattito sulla dualità onda-particella.

Dualismo onda particella dell’elettrone

ritratto Louis De Broglie

Un ulteriore step nel campo della fisica quantistica venne fatto dal fisico francese De Broglie.
Egli propose analogie tra il fascio di elettroni e il fascio di fotoni, studiando il fenomeno della diffrazione di fasci elettronici.
Come ai fotoni si associano onde elettromagnetiche, così alla propagazione di elettroni si è associato un fenomeno ondulatorio.

Fu inoltre in grado di esprimere matematicamente la lunghezza d’onda di tali onde, dette onde di De Broglie:

formula di De Broglie

Equazione di Schroedinger

ritratto Erwin Schrodinger

Data la natura ondulatoria delle particelle, fu necessario introdurre un’equazione per lo studio della meccanica quantistica.
Si tratta dell’equazione di Schrodinger, proposta dall’omonimo fisico nel 1926 (sì, è proprio lo stesso Schrodinger che ha ideato il paradosso del gatto !!!).

Se vuoi approfondire l’argomento e riuscire a risolvere l’equazione di Schrodinger in modo semplice applicandola alla vita di tutti i giorni clicca QUI.


L’equazione completa risulta:

equazione d'onda di Schrodinger

Principio d’indeterminazione

ritratto Werner Heisenberg

La fisica newtoniana, dunque, non era più in grado di spiegare numerosi fenomeni atomici.
Si dovette abbandonare la visione deterministica del microcosmo per accogliere una nuova disciplina in grado di prevedere tali fenomeni.

Il grado di precisione arbitraria e sempre crescente che i fisici classici inseguivano, ben presto venne contestata da un principio che rivoluzionò la storia della meccanica quantistica.

Un importante contributo fu dato da Heisenberg, il quale propose il noto principio di indeterminazione che porta il suo nome:

principio di indeterminazione

Tale formulazione afferma che:


“non si possono misurare contemporaneamente con assoluta precisione le componenti della posizione e della velocità, o meglio della quantità di moto, di una particella di massa molto piccola lungo una direzione”.

W. Heisenberg

Questo principio sconvolse talmente tanto il mondo della fisica che rimase nell’immaginario comune come un simbolo di tale disciplina.

Ciò che ci insegna questo percorso nella storia della meccanica quantistica è di coltivare la nostra immaginazione e continuare ad avere una mente aperta a nuove idee.
Ci sono ancora molti interrogativi da risolvere, che possono sconvolgere tutte le teorie proposte fino ad oggi!

“Non bisogna sottovalutare il valore insostituibile dell’immaginazione e dell’intuizione nella ricerca scientifica. Superando con salti irrazionali il rigido cerchio entro il quale siamo costretti dal ragionamento deduttivo l’intuizione permette le grandi conquiste del pensiero.[…] Per tale ragione la ricerca scientifica è pur sempre un’avventura”

L. de Broglie


La storia della meccanica quantistica continua con molte altre scoperte e teorie entusiasmanti ma noi Makers ci fermiamo qui… per ora.

Curiosi

-La parola FOTONE venne introdotta solo nel 1926 dal chimico-fisico Lewis.
-Quando Niels Bohr vinse il premio Nobel , la Carlsberg lo volle ringraziare regalandogli una casa adiacente al birrificio, con un tubo che spillava birra direttamente in salotto.
J.J.Thomson scoprì l’elettrone come particella, G.P.Thomson (figlio di J.J.Thomson) scoprì le proprietà ondulatorie dell’elettrone. Entrambi vinsero il Nobel per le loro scoperte.
-Il dibattito sul dualismo onda-particella della luce è ancora aperto!
-Il termine “meccanica quantistica” venne usato per la prima volta da Max Born nel 1924.
Il gatto di Schroedinger si può salvare.

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Davide Di Stasio
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PENDOLO DI NEWTON

PENDOLO DI NEWTON

Il Pendolo di Newton è un particolare pendolo ideato al fine di illustrare due importanti leggi fisiche.
Vediamo insieme di cosa si tratta!

Il primo pendolo di Newton venne realizzato da Robert Hooke ed è costituito da cinque sfere di metallo aventi eguale massa, sospese mediante fili a due aste.
È necessario che tali sfere siano equidistanti e poste alla medesima altezza.

PENDOLO DI NEWTON

Funzionamento

Si lascia cadere una sfera contro le altre e si nota che la sfera all’estremità opposta inizia a muoversi con la stessa velocità, mentre le altre, compresa quella inziale, rimarranno in quiete.
Si può provare a ripetere il medesimo procedimento lasciando cadere due o più sfere.
Nel caso in cui si prendano in considerazione più di due sfere si nota che si metteranno in moto le tre sfere all’estremità opposta, compresa quella centrale messa in moto da noi!

Perché si verifica ciò?

Tale comportamento delle sfere è tipico degli URTI  ELASTICI.
Infatti, entra in gioco la conservazione di due grandezze fondamentali della fisica: l’ENERGIA CINETICA e la QUANTITÀ DI MOTO.
L’energia cinetica è una grandezza scalare espressa come il prodotto della massa dell’oggetto preso in considerazione, per la sua velocità al quadrato, il tutto moltiplicato per 1/2.
Essa non dipende dalla direzione del moto e non è mai negativa; mentre è nulla quando il corpo è in quiete.
Nel SI la sua unità di misura è [J].
La quantità di moto, invece, è una grandezza vettoriale espressa come prodotto della massa del corpo per la sua velocità. Inoltre, essa ha la stessa direzione e verso del vettore velocità.
Nel SI la sua unità di misura è [kg m/s].
Dato che le sfere hanno la stessa massa, quelle intermedie, che rimangono in quiete, trasmettono la velocità all’ultima.
Questa, quindi, si muoverà con la stessa velocità con cui si muoveva la sfera iniziale.

Nel caso di un urto perfettamente elastico, una volta mossa una o più sferette, il moto sarebbe perpetuo.
Tuttavia nel mondo reale subentra l’attrito, il quale dissipa l’energia posseduta dalle sfere, fino a farle tornare all’iniziale stato di quiete.

Qui potete vedere il funzionamento del Pendolo di Newton!

Figure di Lissajous

Figure di Lissajous

Le figure di Jules Antoine Lissajous sono curve ottenute dal sistema di equazioni parametriche:

{\displaystyle x=A_{x}\sin(\omega _{x}t+\phi _{x}),\quad y=A_{y}\sin(\omega _{y}t+\phi _{y}),}

dove Ax e Asono le ampiezze, ωx e ωy sono le pulsazioni e ϕx e ϕy sono le fasi di due moti oscillatori ortogonali.
Espresso in questo modo sembra un argomento molto complicato e impossibile da capire ma in realtà è un concetto molto semplice. Queste figure sono utili per studiare due moti oscillatori armonici semplici senza dover conoscere a priori la soluzione analitica esatta.

Rappresentazione grafica

Per ottenere le figure di Lissajous si riportano sui due assi di un grafico bidimensionale i valori delle due oscillazioni istante per istante.
Queste curve sono particolarmente utili perché:

  • rappresentano il reale moto di un ponto soggetto a due oscillazioni perpendicolari
  • si ricavano facilmente le ampiezze dei due moti oscillatori
  • si possono ricavare gli sfasamenti dei due moti oscillatori

Tracciamo due rette parallele agli assi, in modo che non passino per i punti in cui le linee della curva si sovrappongono. Contiamo ora il numero di intersezioni di queste rette con la curva.
Nel nostro caso abbiamo 8 intersezioni lungo la retta orizzontale e 6 intersezioni lungo la retta verticale.
Il rapporto tra il numero di intersezioni nelle due linee è pari al rapporto tra le frequenze degli oscillatori  6/8 = 3:4.

Applicazioni pratiche

Il circuito octopus usa due segnali sinusoidali sfasati, applicati ad un oscilloscopio in modalità X-Y e il componente elettronico testato è identificato da una figura di Lissajous.
In campo audio le figure di Lissajous sono usate per correlare lo sfasamento tra i segnali stereo degli impianti acustici.

Lissajous casalinghe*

Noi makers vi proponiamo alcuni modi per ottenere delle figure di Lissajous in casa

Con oscilloscopio e generatore di segnali

Per questo esperimento abbiamo bisogno di un oscilloscopio a doppio canale in modalità x-y e un generatore di segnali doppio canale. Colleghiamo le uscite del generatore di segnali con le entrate dell’oscilloscopio ed accendiamo entrambi gli strumenti. Impostiamo l’oscilloscopio in modalità x-y e regoliamo a piacere i parametri del generatore di funzione ( frequenza, ampiezza, fase, forma d’onda).

Da qui possiamo capire che le figure di Lissajous sono l’unione di due onde che oscillano su piani perpendicolari e tracciano una figura sul piano.

Un particolare esempio sono le funzioni seno e coseno che sono due onde sinusoidali sfalsate di 90° che tracciano una figura sul piano detta cerchio goniometrico.

Con pendolo e sabbia

Abbiamo bisogno di un gomitolo di spago, un bicchiere di plastica, nastro adesivo, sabbia, fogli di giornale e una scala. Foriamo il fondo del bicchiere con una matita, fissiamo due pezzi di spago (di uguale lunghezza) di almeno 1,5 m sul bordo del bicchiere con del nastro adesivo e leghiamo le due estremità dei fili alla scala formando un pendolo a V libero di oscillare solo in una direzione.

Leghiamo un anello di spago ad un’altezza arbitraria del pendolo unendo i due fili e riducendo la V, così facendo abbiamo prodotto un nodo che separa due pendoli. La V che parte dalla scala e termina al nodo intermedio è il primo pendolo mentre il segmento di spago che parte dal nodo e termina al bicchiere è il secondo pendolo. I due pendoli oscillano su due piani perpendicolari. Poniamo i fogli di giornale sotto al pendolo e riempiamo il bicchiere di sabbia chiudendo il foro inferiore con un dito. Facciamo oscillare il pendolo con una traiettoria ellittica e lasciamo tracciare una scia di sabbia sui fogli di giornale.

A seconda delle lunghezze dei due pendoli si avranno delle figure di Lissajous differenti. Essendo la lunghezza del pendolo proporzionale al periodo di oscillazione, per modificare le figure basterà spostare l’altezza del nodo che separa i due pendoli.

Se non si possiede della sabbia si può sostituire il bicchiere con un LED e fare una fotografia a lungo tempo di esposizione con il cellulare. La foto finita mostrerà la scia luminosa che forma la figura di Lissajous.

Con laser e diapason

Per l’esperimento servono: due diapason, due specchietti, un laser, uno schermo bianco e occhiali protettivi (per laser). Montiamo i due specchietti alle estremità dei due diapason e allineiamoli perpendicolarmente con l’aiuto di morsetti da laboratorio.

Focalizziamo il laser in modo da formare un raggio riflesso sui due specchi e incidente sullo schermo. Facciamo vibrare i due diapason e osserviamo le figure prodotte sullo schermo dal laser. Cambiando la frequenza di oscillazione di uno dei due diapason modificheremo le figure di Lissajous.

Con un armonografo

È uno strumento che funziona nello stesso modo dei pendoli con la sabbia visti in precedenza.

Può assumere diverse forme e sfruttare meccanismi più o meno complessi ma in tutte le sue forme permette di disegnare con una penna o una matita delle figure di Lissajous su un foglio. Molti modelli permettono di ruotare il foglio in modo da ottenere delle figure più pittoresche.

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Riaccendere una candela a distanza

Riaccendere una candela a distanza

Si può riaccendere una candela a distanza? Sembra una domanda apparentemente sciocca ma che in realtà nasconde una serie di principi fisici e chimici che vi lasceranno a bocca aperta.

Combustione*

Le candele sono una manifestazione della combustione, una reazione chimica di ossidoriduzione tra due componenti: combustibile e comburente. La reazione di combustione è esotermica cioè produce calore, oltre a questo però si produce luce e prodotti di scarto. La reazione di combustione non parte in maniera spontanea perciò necessita di un innesco cioè una fonte di energia. Una volta innescata, questa reazione spontanea procede fino ad esaurire uno dei reagenti (combustibile o comburente).

La combustione è una reazione che ossida il combustibile e riduce il comburente. Se prendiamo come esempio la combustione degli idrocarburi (combustibile) in ossigeno (comburente) otterremo come prodotti l’anidride carbonica (CO2 ) in cui il carbonio è ossidato e l’acqua(H2O) in cui l’ossigeno è ridotto. Una rappresentazione schematica della combustione è il triangolo del fuoco.

Come funzionano le candele

Le candele sono sorgenti luminose formate da un filamento centrale di cotone intrecciato detto stoppino immerso in un combustibile che può essere della cera.
La cera dal punto di vista chimico è un insieme di esteri, acidi saturi e alcoli con catene da 14 a 30 carboni. Sono sostanze che sono malleabili a temperatura ambiente, si sciolgono a 45°C in fluidi a bassa viscosità. Le cere possono essere naturali o artificiali ma rimangono comunque sostanze idrofobe che formano strati idrorepellenti.

Lo stoppino ricoperto di cera viene incendiato, la cera evapora dallo stoppino e insieme all’ossigeno dell’aria alimenta la fiamma producendo luce e calore. Il calore della fiamma scioglie l’estremità superiore della candela che per capillarità mantiene lo stoppino imbibito di combustibile. La cera fusa viene trattenuta sulla parte superiore della candela da uno “scodellino” di cera solida raffreddata dalla corrente ascensionale di aria aspirata dalla fiamma.

Composizione dei fumi delle candele

La composizione dei fumi di una candela cambia con il passare del tempo. Teoricamente una combustione ideale produce acqua e anidride carbonica ma in realtà la reazione di combustione non ossida completamente il combustibile e crea dei sottoprodotti con stato di ossidazione meno elevato.

La combustione continua di una candela forma maggiormente anidride carbonica, vapore acqueo e particelle di sali inorganici. Lo stoppino disperde particelle di sali inorganici molto fini perché è ricoperto di ritardanti di fiamma che servono a far durare di più la candela.

Durante la fase di spegnimento della candela si liberano particelle grandi di materia organica non bruciata e fuliggine. Questo fumo costituisce una miscela potenzialmente infiammabile che sfruttiamo per riaccendere una candela a distanza.

Trasporto delle particelle nel fumo

Tutti i prodotti della combustione della candela sono trasportati verso l’alto dal meccanismo della convezione. La fiamma crea una corrente di aria ascensionale che parte dalla base della candela e si alza verso l’alto. Questa corrente di aria calda si alza perché ha una densità minore dell’aria circostante.
Spegnendo una candela tutte le particelle e la cera vaporizzata sono trasportati dalla corrente di aria calda formando una sorta di scia infiammabile.
Se con un innesco (una fiamma libera di un accendino) incendiamo l’estremità di questa scia, la fiamma incendia l’intera striscia di fumo fino ad arrivare allo stoppino.

Esperimento

Accendiamo una candela e svuotiamo la riserva di cera liquida che si forma alla base dello stoppino. Spegniamo la candela con un soffio deciso dall’alto verso il basso. Avviciniamo una fiamma alla scia di fumo che si sarà formata a pochi centimetri dallo stoppino, se il fumo è abbastanza denso e carico di sostanze infiammabili la fiamma riaccenderà la candela ripercorrendo la striscia di fumo.

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Tensione superficiale dei fluidi

Tensione superficiale dei fluidi

La tensione superficiale è la tensione meccanica di coesione tra le molecole sulle superfici esterne dei fluidi.
Le molecole interne alla massa del fluido hanno una risultante delle forze di attrazione circostanti nulla mentre quelle sulla superficie sono attratte verso il centro della massa.
La superficie dei fluidi tende a contrarsi e perciò a ridurre al minimo lo spazio occupato dalle molecole superficiali. La tensione superficiale inoltre determina una forza tangenziale alla superficie che la tende come una membrana elastica.

Questa forza è responsabile sia del fenomeno della capillarità sia della forma delle bolle di sapone.

Tensiometro casalingo*

La tensione superficiale si può misurare in casa con un tensiometro casalingo

    • 1 cannuccia
    • 2 spilli
    • 2 graffette
    • 1 bicchiere
    • filo di cotone
    • nastro adesivo
    • foglietto di carta

Costruiamo una bilancia a bracci uguali trafiggendo al centro della cannuccia uno spillo. Usiamo un bicchiere capovolto come piedistallo per fissare verticalmente due graffette con dello scotch. Poniamo la cannuccia e lo spillo in equilibrio sulle graffette e leghiamo alle due estremità della cannuccia dei fili di cotone.
Ad una estremità legheremo uno spillo mentre all’altra un cestino di carta per reggere i pesi. Lo spillo legato nel suo centro dovrà rimanere completamente sospeso ed orizzontale. Il cestino è ricavato ripiegando in quattro un foglietto di carta.
Bilanciamo il tutto attaccando dello scotch alle due estremità della cannuccia. Il braccio della bilancia dovrà essere orizzontale lasciando sia lo spillo che il cestino sospesi da terra.

Misurazione

La tensione superficiale dei fluidi può essere definita come la forza che agisce su un taglio sulla superficie del fluido. La tensione superficiale nel S.I. si misura in N/m e si esprime con la lettera gamma.
Poniamo un recipiente pieno del fluido da misurare sotto l’ago del tensiometro, caliamo l’ago sulla superficie del fluido e aspettiamo che la cannuccia sia stabile. Aggiungiamo gradualmente e con delicatezza dei pesetti (chicchi di riso o granelli di sabbia) sul cestino della bilancia fino a che l’ago non si staccherà dalla superficie del fluido. Noteremo che il fluido tenderà a trattenere lo spillo sulla superficie fino a che la massa dei pesi nel cestino non supererà la tensione superficiale. Pesiamo a parte con una bilancia digitale da cucina i pesi aggiunti e ricaviamo la tensione superficiale del fluido con la seguente formula:

γ tensione superficiale (N/m)
m massa dei contrappesi (Kg)
g accelerazione di gravità (m/s*s)
L lunghezza dello spillo sulla superficie del fluido (m)

Direzione della tensione sulle superfici

Si può verificare che la tensione superficiale si distribuisce in modo uniforme in tutte le direzioni di una superficie di un fluido.

    • acqua e sapone
    • cannucce o fil di ferro
    • filo di cotone fine
    • stuzzicadenti
    • pinzette (opzionali)

Costruiamo con delle cannucce o del fil di ferro una cornice chiusa (la forma è indifferente) ed immergiamola in acqua e sapone. Tolta la cornice dalla soluzione saponosa si formerà una membrana molto sottile ed elastica al suo interno. Leghiamo il filo di cotone per formare un piccolo anello che andrà bagnato nella soluzione saponata. Con l’aiuto di un paio di pinzette (bagnate) appoggiamo l’anello di cotone sulla membrana di sapone all’interno della cornice. L’anello rimarrà sospeso e potrà muoversi liberamente. Con l’aiuto di uno stuzzicadenti buchiamo la membrana di sapone all’interno dell’anello di cotone. Si noterà che l’anello verrà tirato immediatamente in tutte le direzioni formando un cerchio perfetto. Questo conferma che la tensione superficiale dei fluidi agisce tangenzialmente alla membrana di sapone e in modo uguale in tutte le direzioni.

Effetto Marangoni

È il trasferimento di materia lungo una superficie dovuto ad un gradiente di tensione superficiale.
Il fenomeno fu osservato per la prima volta negli “archetti del vino” da James Thomson  nel 1855. L’effetto fu studiato da Carlo Marangoni che ne pubblicò i risultati nel 1865.
Il fluido con più alta tensione superficiale attrae a se con più forza il fluido circostante perciò in regioni con bassa tensione superficiale il fluido scorre via.

Inchiostro magico

    • latte o acqua
    • stuzzicadenti
    • sapone
    • piatto
    • colorante alimentare o pepe in polvere

Versiamo del latte in un piatto e facciamo cadere qualche goccia di colorante al centro evitando che si propaghi per tutta la superficie. Intingiamola punta dello stuzzicadenti nel sapone e successivamente pizzichiamo con tale punta il centro della macchia di colorante sulla superficie del latte. Si nota una rapida propagazione del colorante dal centro verso l’esterno.
Il sapone è una sostanza (tensioattivo) che diminuisce la tensione superficiale dei fluidi, nel nostro caso lo usiamo per creare una differenza (gradiente) di tensione sulla superficie del latte. Dato che la tensione superficiale al centro del latte è inferiore a quella circostante la superficie viene allungata verso l’esterno evidenziata da un chiaro spostamento del colorante.

Barchetta a propulsione

Per osservare in modo più divertente l’effetto Marangoni e la terza legge di Newton si può costruire una barchetta a reazione. Intagliamo con un paio di forbici un piccolo pezzo di carta a forma di “casa con il tetto a V”.

Tagliamo un canale che parte dal centro e finisce nella parte posteriore della barca largo qualche millimetro. Poniamo il foglio di carta opportunamente tagliato sul pelo dell’acqua e intingiamo uno stuzzicadenti con la punta sporca di sapone nell’acqua all’interno del canale al centro della barchetta. Il pezzo di carta subirà una propulsione in avanti molto rapida.

Bolle di sapone e legge di Laplace

La bolla di sapone è uno strato sottile di acqua e sapone ma racchiude in se una miriade di misteri matematici, fisici e chimici.
Le bolle di sapone sono degli esempi concreti di complessi problemi matematici di minimizzazione di superficie in un dato volume.

I film di sapone rappresentano superfici minime che sono state sfruttate da matematici, ingegneri e architetti.
La legge di Laplace correla la pressione interna di una bolla con il suo raggio è può essere verificata con un semplice esperimento

ΔP differenza di pressione esterna/interna (Pa)
γ tensione superficiale (N/m)
R raggio della bolla (m)

    • 2 cannucce
    • nastro adesivo
    • acqua e sapone
    • forbici

Pratichiamo un foro non passante sul centro di una cannuccia con le forbici ed inseriamo una estremità della seconda cannuccia formando un raccordo a T. Sigilliamo tutte le giunzioni con del nastro adesivo per evitare perdite.
Immergiamo e rialziamo le due estremità laterali del giunto appena costruito nella soluzione saponosa e soffiamo nella cannuccia centrale.
Per avere due bolle di grandezza differente si strozza momentaneamente una delle due estremità laterali mentre si insuffla. Formeremo due bolle di sapone di grandezza differente attaccate alle due estremità della T e chiuderemo con il dito l’estremità superiore dove abbiamo soffiato.

Risultato

Le due bolle saranno a contatto come due vasi comunicanti perciò ci aspetteremo che l’aria passi da quella più grande alla più piccola fino ad equilibrare il sistema ,formando due bolle della stessa dimensione. In realtà la bolla più piccola si rimpicciolirà ancora di più gonfiando quella più grande. Questo fenomeno avviene perché l’aria tende a spostarsi verso le regioni a pressione più bassa perciò deduciamo che nella bolla più grande ci sia una pressione minore rispetto a quella più piccola. Questo esperimento conferma la Legge di Laplace che afferma che la pressione interna di una bolla è inversamente proporzionale al suo raggio.

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Fotografia ad infrarossi

Fotografia ad infrarossi

La fotografia ad infrarossi è una tecnica particolare che sfrutta una precisa porzione dello spettro elettromagnetico invisibile ai nostri occhi per ottenere delle immagini o dei video.

Cosa sono gli infrarossi?

Per spiegare come funziona la fotografia ad infrarossi, vediamo cosa sono gli infrarossi!
I raggi IR sono radiazioni elettromagnetiche non visibili dall’occhio umano in quanto non fanno parte dello spettro del visibile. Questo infatti comprende radiazioni comprese tra 400 e 780 nm, mentre gli infrarossi si collocano ad una lunghezza d’onda dai 780nm a circa 1mm.
I raggi IR sono radiazioni emesse da tutti i corpi ad una temperatura maggiore dello zero assoluto (circa -273,15°C).

Suddivisione dei raggi IRRange (µm)
NIR0.78-5
MIR5-30
FIR>30

Modifica fotocamera*

Per poter osservare i raggi IR bisogna utilizzare una fotocamera, videocamera o webcam opportunamente modificate. Normalmente i sensori CCD di questi dispositivi riescono a registrare gli infrarossi che però rendono l’aspetto delle immagini catturate diversa da quello osservato. I costruttori risolvono questo problema mettendo un filtro interno tra il sensore e l’obbiettivo che blocca i raggi IR e lascia passare la luce visibile.

Per modificare una vecchia webcam basterà smontarla, rimuovere il filtro di colore fucsia-rosa facendo attenzione a non toccare con le dita le parti ottiche e rimontare tutto. Per la modifica bastano un paio di cacciaviti piccoli.

Durante la rimozione del filtro bisogna fare molta attenzione in quanto è molto fragile e si rompe facilmente. Il filtro smontato è messo da parte e all’occorrenza rimontato all’interno del dispositivo.

Esperimenti

La radiazione infrarossa è invisibile all’occhio umano tuttavia non è l’unica delle differenze con la radiazione visibile. Alcuni oggetti opachi alla luce sono trasparenti all’ IR come ad esempio bottiglie di plastica opaca, tappi, alcuni tessuti, sali ecc…
Sfruttiamo questa proprietà per “guardare attraverso” un tappo di plastica marrone con la webcam, per illuminare l’oggetto utilizziamo un LED IR di un vecchio telecomando.

La fotografia ad infrarossi è un esperimento tra i più artistici, che si può perfezionare aggiungendo e togliendo alla telecamera dei filtri. In questo modo si sceglie una particolare regione dello spettro elettromagnetico da immortalare.

Filtro 720nm


Ponte Vecchio, Cesena
Filtro 590 nm
Fotografia ad infrarossi
Foto post prodotta

Foto scattate da Alessandro Volpe

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Davide Di Stasio
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Costruiamo un episcopio

Costruiamo un episcopio

In questo articolo costruiamo insieme un episcopio, uno strumento inventato da Eulero per proiettare e ingrandire le immagini. Vediamo in cosa consiste!!

Occorrente:

  • 2 scatole di cartone
  • lente d’ingrandimento 45X
  • lampadina
  • forbici
  • colla vinilica

È possibile anche usare la torcia del telefono, al posto della lampadina.

Procedimento:

praticare due fori sulla faccia frontale della scatola, uno grande per la lente e uno piccolo per la lampadina. Fissare la lente alla scatola  aiutandosi con la colla vinilica e degli anelli di cartone, ricavati dalla seconda scatola. Inserire la lampadina* o la torcia all’interno della scatola e mettere uno schermo tra la lampadina e la lente. Tagliare una seconda superficie di cartone, per ricavarne lo schermo che reggerà l’immagine all’interno dell’episcopio.
Continuare l’esperimento in una stanza buia, in modo che la lampadina illumini solo la figura. Regolare la distanza tra lo schermo e la lente finché l’immagine proiettata sul muro non sarà messa a fuoco.  Assicurarsi che la scatola sia ben chiusa.

Osservazioni:

l’immagine inserita dentro l’episcopio risulta ingrandita sul muro e capovolta.  Utilizzando una fonte luminosa più intensa,  come una lampadina da 60W o una torcia elettrica, l’immagine appare più nitida.

Spiegazione:

la lente presenta due fuochi, dove convergono i raggi luminosi che colpiscono la figura. Se l’immagine viene posta ad una distanza maggiore rispetto al fuoco, la figura proiettata risulta ribaltata e per la particolare geometria della lente verrà anche ingrandita.

Questo è il modo in cui noi makers costruiamo un episcopio!

Provate a ripetere l’esperimento utilizzando altri oggetti, come delle piccole monete e apportando delle piccole modifiche alla vostra scatola e cambiando la lente.

Fateci sapere nei commenti cosa siete riusciti a proiettare con il vostro episcopio DIY!!

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Davide Di Stasio
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Diavoletto di Cartesio

Con questo semplice esperimento, osserviamo due leggi che riguardano la meccanica dei fluidi: la legge di Pascal e il principio di Archimede!!

Occorrente:

  • bottiglia
  • acqua
  • tappo della penna
  • nastro autoadesivo
  • graffetta

Procedimento:

Sigillare l’estremità superiore del tappo della penna mediante il nastro autoadesivo in modo da non lasciare fori.
Unire la graffetta alla parte inferiore del tappo, utilizzando il nastro autoadesivo, in modo tale da mantenere il tappo verticale, una volta immerso nell’acqua.
Otteniamo così il nostro DIAVOLETTO!!
Inserire il diavoletto all’interno della bottiglia riempita con l’acqua e chiuderla.
Applicare una pressione sulla bottiglia, stringendo con le mani le pareti della stessa.

 

 

N.B.
Se quando viene chiusa la bottiglia il tappo non galleggia sulla superficie, controllare di aver sigillato bene la parte superiore.

Osservazioni:

inizialmente il diavoletto galleggia sulla superficie, ma esercitando la forza sulla bottiglia, il diavoletto scende sul fondo.
Se non si applica più la pressione sulle pareti della bottiglia, il diavoletto tornerà a galleggiare.

PERCHÉ??

Spiegazione:

Inizialmente il diavoletto è in equilibrio tra la forza di Archimede, che lo spinge verso l’alto, e la sua forza peso, che tende a farlo scendere.
Quando viene applicata la pressione sulle pareti della bottiglia, l’acqua, essendo un liquido, è incomprimibile quindi andrà ad occupare lo spazio, prima occupato dell’aria, all’interno del diavoletto, che aumenterà la sua densità e conseguentemente scenderà verso il basso, vincendo la spinta di Archimede.
Ma perché l’acqua risente della forza esercitata sulle pareti?
Ciò è dovuto alla legge di Pascal secondo cui la pressione applicata a un fluido all’interno di un contenitore viene trasmessa senza subire variazioni a tutte le superfici a contatto con il fluido.

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

INERZIA DELLE MONETE

INERZIA DELLE MONETE

PRINCIPIO DI INERZIA!

In questo articolo dimostreremo con un semplice esperimento, una della leggi più importanti nel mondo della fisica: la prima legge di Newton.
Essa è denominata anche principio di inerzia, ma vediamo insieme di cosa si tratta!

OCCORRENTE:

  • 1 foglio;
  • alcune monete.

PROCEDIMENTO:

prendere le monete e impilarle una sopra l’altra in modo da formare una torre stabile.
Colpire orizzontalmente la moneta inferiore a diretto contatto con il tavolo, con uno dei lati del foglio.

COSA ACCADE??

OSSERVAZIONI:

la moneta colpita slitterà lungo la superficie del tavolo seguendo una traiettoria rettilinea.
Le monete poste sopra la prima rimarranno nella loro posizione iniziale, senza muoversi orizzontalmente, ma diminuiranno solo la propria quota.

SPIEGAZIONE:

per il principio di inerzia, un corpo tende a mantenere il proprio stato di quiete (o di moto rettilineo uniforme) se su di esso agiscono forze, la cui risultate è nulla.
In tal caso, infatti, una volta colpita la moneta inferiore, l’unica forza che agisce sulle altre monete sarà la gravità, in quanto dotate di massa.
Di conseguenza si muoveranno verso il basso, fino ad incontrare la superficie del tavolo, dove raggiungeranno un nuovo stato di equilibrio.
Tale equilibrio sarà dato dalla somma vettoriale della forza di gravità agente sulle monete e della reazione vincolare applicata dalla superficie del tavolo verso di esse.